Upside Down, recensione del film diretto da Juan Diego Solanas.
Due mondi sottosopra, un amore impossibile, una società brutalmente tecnologica. Lo sfondo per Upside Down ruota intorno a questi tre elementi, due nicchie ecologicamente insostenibili disuguali e un’alcova a conciliare il tutto. Chi sta sopra gode di privilegi acquisiti, sta di gran lunga meglio di quelli di sotto e lo soggioga senza fine e ritegno alcuno. Proteso alla ricerca del profitto più diabolico e spiazzante, metafora di ben più marcate differenze di classe che impoveriscono e intristiscono chi non ha accesso a opportunità migliori…
C’è chi langue e c’è chi gode. Chi vince e chi perde. Chi possiede ricchezze, onori, prestigio e chi non ha che catene. Mondi separati ma vicinissimi, contrapposti e sovrapposti dove l’altro cammina a testa in giù e così io per lui. Rovine e disperazione da una parte, opulenza e fasti dall’altro sempre uniti da un ferreo controllo che annichilisce le menti e assopisce le coscienze.
Ma non la forza esplosiva dell’amore che ribalta e rifonda, arricchisce, dà speranza e ridona vigore. Adam e Eden vivono la loro biblica storia romantica rincorrendosi su e giù, in un turbine di sensi inarrestabile, rivoluzionario sfidando il potere che mai si palesa se non nella limpida perversione di corrotti apparati aziendali (è il triste futuro che ci attende?), proni al mercato poco civile e molto trendy (molti liberisti dell’ultima ora non si riconosceranno in questa allegoria lucida e desolante più reale di quanto ci si aspetti).
Il film, con la tenera storia d’amore tra Eden e Adam è un inno alla sperimentazione e alla ricerca. Alla conoscenza di sé attraverso il legame amoroso come potente antidoto alle mostruose derive autoritarie e populiste.
C’è più di un riferimento a vicende di terra nostra, dallo sfruttamento eterno dei paesi ex-terzo mondo, Africa in testa al dramma dei rifugiati, dei clandestini e profughi in fuga da terre devastate dall’odio e dalla violenza perpetrata sistematicamente da fanatismi d’ogni risma, buoni per aggregare consensi facili in uscita da chi vive ai margini e occasione ghiotta per un’occidente in crisi valoriale e di petrolio.
Anche nella pellicola di Solanas c’è il dramma ecologico e l’energia a buon mercato a spese dei poveri, degli ultimi, i prolet, per dirla con l’Orwell di 1984. Se c’è speranza di trasformazione radicale, di abbattimento del muro ideale è tra i prolet, pensa compiendo l’ennesimo psico-reato il perduto Winston Smith mentre osserva la libera gioiosità di una massaia che canta una canzoncina popolare. Nel mondo di sotto l’umanità è atomizzata, inerme, traumatizzata dagli effetti del grande cataclisma, non appare mai se non, per converso, nel piccolo gruppo sodale e laborioso di artigiani che scambiano i loro prodotti con altri prodotti, un ritorno all’economia del baratto, di sussistenza, di stenti.
Il film, con la tenera storia d’amore tra Eden e Adam è un inno alla sperimentazione e alla ricerca. Alla conoscenza di sé attraverso il legame amoroso come potente antidoto e non solo sullo schermo alle mostruose derive autoritarie e populiste. Derive che aleggiano qua e là e che fan capolino tra un happy hour e disoccupazione di massa, incolore destino di uomini e donne sempre più a una dimensione. Da cieli non sospetti Marcuse conferma.
Upside Down (Id.) Canada, Francia 2012 Regia di: Juan Diego Solanas. Genere: Fantascienza, Drammatico. Durata: 104′. Cast: Jim Sturgess, Kirsten Dunst, Timothy Spall, Blu Mankuma, Nicholas Rose, James Kidnie, Vlasta Vrana, Kate Trotter. Fotografia: Pierre Gill. Musiche: Benoît Charest. Sceneggiatura: Juan Diego Solanas.
Upside Down, recensione del film diretto da Juan Diego Solanas.
Valutazione finale: 7/10