A Beautiful Mind, recensione del film diretto da Ron Howard.
Un celebre serial di fantascienza americano degli anni ’50 si presentava ai propri affezionati con un incipit che recitava più o meno così… esistono zone oltre le quali la mente non si mai avventurata…zone profonde…zone ai confini della realtà. I personaggi della serie TV, loro malgrado, venivano strappati al principio di realtà. Catapultati e proiettati in una dimensione tridimensionale modellata su quella ordinaria ma strutturata su tempi, ritmi, dinamiche difformi e speculari all’ordinaria presentabilità del mondo sociale normativamente fondato. Esseri alieni ma dalle sembianze umane, piante con una vita affettiva e relazionale intensa, cose animate e dotate di intelletto. Sfalsamenti spazio-temporali non solo simbolici ma concreti nella loro duplice fruibilità scenografica e immediata da parte degli spettatori.
La fortuna dipese e si innestò su un’abile costruzione, letteraria e diretta, allegoricamente ben strutturata cui rari linguaggi dell’anima non sfuggono. Afferrare e trattenere seppur simbolicamente frammenti di paure inconfessabili, visualizzati da un rassicurante Moloch mediatico fu di una portata immensa e contribuì seppur con i limiti narrativi tipici delle storie brevi e i vincoli della produzione televisiva, a riconsiderare e svecchiare gli antichi giochi di dipendenza tra oggetto – spettatore e soggetto – televisione, ribaltandone l’ovvietà di un “mediato” e illusorio rapporto a due.
In A Beautiful Mind John Nash, brillante mente matematica e poco ortodossa ad un certo punto della propria vita si avventura in un iperrealistico menage a quattro. Inizia ad intrattenere relazioni multiple con personaggi così vividi ed esemplari da sembrar veri. Interagisce con un agente dei servizi segreti, un amico di università e la di lui nipote, intessendo rapporti reali e infiniti con queste figure. Presenze, significative nella loro radicale attualità, un mix di inestricabile pathos (la malattia mentale) e di indicibile realismo dell’anima.
Il film racconta il viaggio particolare di un uomo dalle doti non comuni. Dotato di processi logici non comuni e di una volontà straordinaria nell’affrontare i più svariati problemi matematici. Poco più che ventenne incontra Einstein e Von Neumann, ma non riceve le soddisfazioni cui aspirava pur presentando teorie di rilievo. Nash non demorde e con altero senso di sé prosegue nella sua invisibile ma per lui concreta lotta con numeri, equazioni, teoremi.
Calato nella metafisica del numero e delle sue applicazioni, una variante decisiva della teoria dei giochi porta il suo nome, equilibrio di Nash, il nostro ben presto si erge ad astro nascente della matematica pura attirando su di sé antipatie e rancori di docenti ridicolizzati dall’estro intuitivo e unico. Non può però non suscitare ammirazione sincera in un mondo,quello accademico ligio e conforme a protocolli stabiliti ed a consuetudini consolidate. E’ pur vero che la comunità di matematici non fu mai completamente prona ai voleri spesso capricciosi dei cattedratici ma Nash riuscì a distinguersi ulteriormente sfoderando un repertorio vastissimo di comportamenti narcisisti e sprezzanti.
La follia di Nash, oltre sicuramente a tracce familiari non risolte affonda probabilmente il proprio registro e trova terreno fertile nell’essenza della sua ricerca intellettuale ed estetica. Ricerca intessuta di dedizione totale alle leggi dei numeri. Un atto di fede nella assolutezza delle procedure di calcolo, in sintesi una sorta di fascinazione per il Numero. Così è il numero, la magia che da esso promana, principio primo secondo i Pitagorici di ogni forma di vita e non. La sua apparente fissità che fa da contraltare e che richiama ciò che Mattè Blanco avrebbe definito “sistemi infiniti” le parti di sé non più tenute al guinzaglio dai meccanismi difensivi del super-io.
Numero che con la sua infinita rappresentabilità e trasformabilità entra in un rapporto necessitato e funzionale con le suburre inesplorate del Nostro esploratore logico. La cui mente, rischiarata dalla potenza dell’analisi matematica nulla può contro il dispiegarsi animato e incontenibile del “pensiero del Cuore”. Anima e desiderio di ogni sforzo conoscitivo positivo, forza motrice di slanci passionali altrimenti ingabbiati in desolate lande di ultra-razionali edifici mentali. Nash percorrerà per 25 anni un lungo e doloroso cammino esperienziale dal quale non riuscirà mai completamente a separarsi. E il Nobel, assegnato nel 1994 fu il giusto riconoscimento per un uomo restituito alla vita e alle sue passioni più belle.
A Beautiful Mind (Id.) Gran Bretagna 2001 Regia di: Ron Howard. Genere: Drammatico Durata: 140′. Cast: Russell Crowe, Jennifer Connelly, Ed Harris, Paul Bettany, Christopher Plummer, Judd Hirsch, Josh Lucas, Adam Goldberg, Anthony Rapp, Austin Pendleton. Fotografia: Roger Deakins. Musiche: James Horner. Sceneggiatura: Akiva Goldsman.
A Beautiful Mind, recensione del film diretto da Ron Howard.
Valutazione finale: 7,5/10