Sette episodi per cercare di ripercorrere e comprendere la vita di uno dei più particolari e multiformi personaggi della recente storia di Francia. Il cinquantenne attore Laurent Lafitte, aiutato da una somiglianza fisica particolarmente accentuata con il vero imprenditore transalpino, entra come lui a gamba tesa in ciascuna attività nella quale pensa di impegnarsi rinascendo in ognuna alla stregua di un’Araba Fenice, pronta a risorgere dalle ceneri dei propri fallimenti capaci di minare la fiducia di chiunque altro ma non del Parigino Tapie.
” Io non sono nato Bernard Tapie… Sono diventato Bernard Tapie “
(Laurent Lafitte)
Grazie a un’immagine capace di bucare lo schermo, frutto del medesimo piglio e appeal con il quale si muoveva il Tapie originale, Lafitte riesce a rubare spazio d’azione e battute a tutto il resto del cast, diventando protagonista assoluto di una narrazione nella quale chi più chi meno, dai genitori alla moglie Dominique, dai dipendenti delle sue diverse attività, ai calciatori, molti dei quali transitati nel nostro campionato, deve cedergli il passo. Offrendoci uno spaccato sincero, personale, passionale e sopra le righe, di un self-made man la cui vita non aspettava altro che diventare un film o, come in tal caso, una serie, seppur accolta in maniera controversa, causa il desiderio dei famigliari, in particolar modo i figli del magnate, di bloccarne l’uscita per via d’ imprecisioni narrative mai del tutto chiarite.
Il Tapie di Lafitte, appare in scena nella prima metà dei ‘60. Sposato appena ventenne e con una figlia a carico, con il desiderio mai nascosto di non vendere più televisori ed elettrodomestici come un semplice commesso, o di lavorare con il padre idraulico, ma con un’idea precisa per sé e la sua famiglia, o almeno con molte idee su cui poter porre le sue attenzioni perché Tapie è stato uomo di spettacolo e di affari, presidente della squadra di calcio dell’ Olympique Marsiglia fino a essere eletto come politico all’Eliseo, a dimostrazione della veridicità del titolo italiano ovvero che mille sono state le vite che ha saputo attraversare.
Mini serie meritevole e capace di narrare con efficacia chi sia stato lo ‘Zelig’ Tapie, riuscendovi e mantenendo elevata l’attenzione nei confronti di una figura carismatica ma altrettanto controversa. Demangel e Séguéla, sia registi che sceneggiatori, hanno infatti il pregio di non perdersi in moralismi e condanne, ma alla fine non riescono a sciogliere il dubbio su chi fosse veramente l’uomo di affari scomparso a fine 2021, e cosa l’abbia spinto a cercare il successo, economico e pubblico, in maniera così ostinata. L’idea che un semplice spettatore si può creare è il desiderio egocentrico di Tapie di sfuggire alle proprie umili origini brandite come simbolo d’integrità morale ogni volta che le si usava pubblicamente per attaccarlo, ma immediatamente accantonate subito dopo.