a cura di Ciro Andreotti
Nella Roma del 1946 in un condominio periferico e popolare, abitano Delia, il marito Ivano, i loro tre figli e il suocero Ottorino. La vita di Delia è scandita dalla routine fatta di lavoro, mantenimento dell’ordine domestico e dalle continue prevaricazioni fisiche e psicologiche alle quali la sottopone Ivano.
Opera prima di Paola Cortellesi, che per l’occasione si riserva il ruolo di una donna dallo spiccato accento Romano, madre, moglie e casalinga in perenne movimento, dimenticandosi i panni confortevoli dell’attrice brillante, ma non rinnegandoli del tutto se non per qualche scena capace di strappare sorrisi dal sapore decisamente acre.
Per l’occasione la Cortellesi si posiziona egregiamente dietro la macchina da presa riuscendo a portare sul grande schermo una storia figlia dalle narrazioni della madre, emigrata dal natio Abruzzo nella capitale. Le vicende rielaborate grazie anche alla collaborazione con Furio Andreotti e Giulia Calenda, che con la regista hanno già lavorato in precedenti film e serie, porta alla creazione di una pellicola alla quale la regista dona tutta sé stessa, riuscendo a porre l’accento sul tema mai del tutto risolto delle violenze domestiche calate in un contesto distante nel tempo, siamo nella Roma del 1946, impreziosendolo grazie all’uso del bianco e nero. Riuscendo a trasformarlo in una rivisitazione del cinema neorealista, perché calata all’interno di un periodo storico che rappresentò sia l’inizio della Repubblica Italiana, il giugno del 1946, sia la prima possibilità di voto per l’universo femminile.
La telecamera segue per tutta la durata del film questa donna comune a tante altre. Ce la fa conoscere e apprezzare per il grande impegno che mette al servizio di una famiglia, figli compresi, incapace di comprenderne gli sforzi e il dramma personale, perché sposata con un uomo – un Valerio Mastandrea, abile nel tratteggiare un personaggio dal carattere ruvido, spigoloso e manesco – che non finge di portarle rispetto, perché figlio dell’epoca nella quale vive, ma che anche per gli standard degli anni ’40 risulta una persona problematica e non certo incline al dialogo famigliare.
A completare l’inquietudine di Delia è il matrimonio tanto atteso della figlia Marcella, la ventiseienne Romana Maggiora Vergano, per la quale intravede i medesimi rischi che stanno attanagliando la sua esistenza.
Il film è ulteriormente adornato dalla presenza di caratteristi che popolano le strade della Roma post bellica, nella quale le battute nei confronti del mondo femminile si sprecavano. Prodromico in tal senso Giorgio Colangeli, ulteriore membro della famiglia Santucci, qui nel ruolo di Ottorino; reduce perennemente allettato e capace di dispensare consigli al figlio su come gestire la vita coniugale:
“Non devi picchiarla sempre, ma poche volte e con un sacco di legnate. Altrimenti si abitua. Sai io facevo così con Pora mamma tua e che Dio l’abbia in gloria”
Nel complesso non vi sono quindi sbavature in una pellicola che sta mietendo successi sia al botteghino (al momento ha scollinato i 30 milioni di incasso) sia da parte della critica, riuscendo a parlare al nostro presente prendendo spunto da un passato molto remoto.
C’è ancora domani (id.) Italia. 2023 Regia di: Paola Cortellesi. Genere: Drammatico, Durata: 118′. Cast: Paola Cortellesi, Valerio Mastandrea, Romana Maggiora Vergano, Emanuela Fanelli, Giorgio Colangeli, Federico Tocci, Lele Vannoli, Paola Tiziana Cruciani, Vinicio Marchioni. Fotografia: Davide Leone. Musiche: Lele Marchitelli Soggetto: Furio Andreotti, Giulia Calenda, Paola Cortellesi Sceneggiatura: Furio Andreotti, Giulia Calenda, Paola Cortellesi. Produzione: Vision Distribution, WildSide Distribuzione: Vision Distribution