Omicidio al Cairo, recensione del film diretto da Tarik Saleh.
In un elegante albergo del Cairo una cameriera diventa involontaria testimone dell’omicidio di una cantante di successo. A seguire le indagini Nourredine, poliziotto corrotto che estorce dai commercianti denaro in cambio di protezione.
Premiato all’ultima edizione del Sundance Film Festival la pellicola del regista Tarik Saleh, il cui titolo tradotto richiama semplicemente a una trama noir, è anche e in realtà una chiara denuncia nei confronti del recente passato. Un passato che sette anni or sono condusse alla cosiddetta ‘primavera araba’. Nel film la rivolta di piazza Tahir sta montando sullo sfondo di una metropoli vittima dell’estorsione sia di una ristretta cerchia di affaristi sia da parte delle stesse forze dell’ordine.
Una film che affonda le proprie radici nel thriller hard-boiled alla Philip Marlowe e nella denuncia politica.
I protagonisti, nessuno dei quali innocente, rimangono inizialmente tutti avvinghiati alle loro idee e usanze. Fino a una presa di coscienza che assume le sembianze di un detective corrotto. Detective che come altri suoi colleghi preferisce regolarmente girarsi dalla parte opposta.
Nourredine, impersonato dall’attore Fares Fares, diviene la valvola di riscatto esattamente nel momento in cui s’imbatte nel classico caso che potrebbe valere la carriera di ogni poliziotto.
Un caso scomodo e che se fossimo a molte centinaia di miglia porterebbe per esempio ‘Dirty’ Harry Callaghan a imbracciare la sua 44 magnum. Nel nostro caso, invece, porterà Nouuredin a trasformarsi definitivamente: una cameriera ha assistito al selvaggio omicidio di una cantante.
Il colpevole fa parte di un gruppo di ricchi affaristi. A nessuno può far comodo sapere che l’assassino è un ricco uomo d’affari vicino al presidente Mubarak, ma per il detective la misura è ormai colma e non ci si può più girare dall’altra parte.
Sia il regista sia il protagonista, entrambi egiziani di origine danese, hanno dovuto affrontare non poche difficoltà per narrare una storia che trae la propria linfa da un vero fatto di cronaca nera.
Un delitto compiuto nel 2009 e che vide i colpevoli realmente fin troppo vicini, se non dentro, le stanze del Rais Hosni Mubarak. Proprio per tali ragioni le difficoltà del regista si sono concretizzate a pochi giorni dall’inizio delle riprese, quando il governo gli impedì di girare nella capitale costringendo lui e la troupe a migrare in Marocco.
Una pellicola che una volta vinti i primi dubbi scorre veloce e che affonda le proprie radici in due solchi. Nel thriller hard-boiled alla Philip Marlowe e nella denuncia politica. Impossibile non notare la disillusione di un protagonista decisamente molto simile a quella del personaggio generato dalla fantasia di Raymond Chandler.
Omicidio al Cairo (The Nile Hilton incident.) Svezia, Danimarca, Germania, Francia 2017 Regia di: Tarik Saleh. Genere: Thriller Durata: 106′. Cast: Hichem Yacoubi, Fares Fares, Mari Malek, Yasser Ali Maher, Ahmed Selim, Hania Amar, Mohamed Yousry, Slimane Dazi, Ger Duany. Fotografia: Pierre Aïm. Musiche: Krister Linder. Sceneggiatura: Tarik Saleh, Magdi Abdelhadi.
Omicidio al Cairo, recensione del film diretto da Tarik Saleh.