Acciaio, recensione del film di Stefano Mordini.
E’ Piombino, la sua periferia e l’acciaieria Lucchini, a fare da sfondo a questo bel film tratto dall’omonimo romanzo di Cinzia Avallone, premio Strega nel 2010. Via Stalingrado (nella realtà Via Salivoli) è l’agglomerato di casermoni a due passi dal mare, con l’Elba all’orizzonte e con tante storie di periferie, simili nella loro scompostezza, diverse nella successione degli accadimenti. Chi sfiora Piombino d’estate in direzione Elba non sa, non vuole sapere e neppure gli importa delle mille vite che animano il quotidiano nei quartieri operai della città.
Un destino, quello di Piombino pesantemente segnato dalla fabbrica. La seconda dopo L’Ilva di Taranto, che ha accolto da decenni lavoratori dell’entroterra. In sintesi il posto fisso che allevia dalla precarietà, dai mille lavori stagionali, dall’ignavia dei turisti sempre più intorpiditi ed esigenti. I guru del marketing li chiamano personale di contatto, servuction il neologismo ottenuto coniando servizi e produzione. Più regole, il cliente al centro della tua vita, della tua esistenza di proletario senza ascensore sociale, con la sola prospettiva di spadroneggiare su auto lussuose. Rivincita a buon mercato sulle ineguaglianze e disparità di stampo neo-darwiniano.
Francesca e Anna sono due adolescenti consapevoli della propria estrazione di classe. Trascorrono i pomeriggi tra le case popolari e il mare, unico sollievo dalla monotonia. Alessio, operaio della Lucchini Acciai, che schizoidamente iscritto alla Fiom coltiva sogni di ricchezza (nel romanzo dice alla madre che non voterà mai per i partiti di sinistra ma per la coalizione di destra), iperprotegge la sorella Anna (con padre latitante e irresponsabile) e tenta a modo suo di costruirsi un’identità operaia, paradossalmente da individuo, una sorta di anomia politica solo amicale, istintiva.
Acciaio è uno sguardo sentimentale su una realtà che spesso e volentieri i media tralasciano.
In fonderia ogni suo movimento risente di una rabbia inespressa. La durezza del lavoro è una prova che Alessio affronta e supera ogni giorno in piena solitudine. Nell’assenza di referenti politici efficaci e di modelli culturali alternativi. Di strutture sociali che accolgano i lavoratori e li facciano sentire meno soli e li aiuti a ricomporre una dignità e un valore all’immenso e incompreso contributo sociale che con fatica offrono a tutti noi. Ritroverà la sua ex, Elena, che nel frattempo laureata ha trovato posto come dirigente alla Lucchini.
Gli attori sono efficaci e bravi, non concedono nulla delle gigionerie tipiche di alcuni. Matilde Giannini (Anna) e Anna Bellezza (Francesca) al loro esordio sullo schermo si calano alla perfezione nei loro ruoli. Michele Riondino (Alessio) una “garanzia” interpretativa e Vittoria Puccini (Elena) sempre puntuale con le sue doti di misurata professionalità. Acciaio non è e non vuole essere un’indagine sociologica sul mondo del lavoro operaio e rifugge da moralismi di stampo mitologico. E’ uno sguardo particolare, quasi sentimentale di una realtà che spesso e volentieri i media tralasciano. Preferendo le ultime verbosità strampalate di un qualsiasi Briatore o di un frustratissimo blogger, rapper o qualsivoglia oscuro personaggio dei nostri tempi, complicati ma ancora vivi.
Acciaio (Id.) Italia 2012 Regia di: Stefano Mordini. Genere: Drammatico Durata: 95′. Cast: Michele Riondino, Vittoria Puccini, Massimo Popolizio, Matilde Giannini, Anna Bellezza, Luca Guastini, Monica Brachini, Francesco Turbanti. Fotografia: Marco Onorato. Musiche: Andrea Mariano. Sceneggiatura: Giulia Calenda, Stefano Mordini, Silvia Avallone.
Acciaio, recensione del film di Stefano Mordini.