Nel 2013 Ferzan Özpetek offriva al pubblico un ritratto di famiglia e amicizia avvolti nel dolore, due fra gli argomenti che maggiormente riguardano da sempre il suo cinema. Un dolore che se in Saturno contro (id.; 2007) era rappresentato da una scomparsa improvvisa, in questa rivisitazione più recente è invece anestetizzato dall’arrivo di una malattia inattesa che fa rivivere gli ultimi dieci anni di vita dei protagonisti in un continuo flashback fra presente e passato. Facendo riaffiorare i ricordi di quando il massimo dei problemi da affrontare erano il desiderio di cambiare fidanzato o vita.
Nel cast, impreziosito da numerosi attori della meglio gioventù di casa nostra, fra i quali Paola Minaccioni, Elena Sofia Ricci e Luisa Ranieri, inclusi alcuni degli attori feticcio del regista turco, meritano una menzione i tre protagonisti: Kasia Smutniak, nel ruolo di Elena, Filippo Scicchitano, in quello di Fabio; perfettamente calati nei rispettivi personaggi. L’una inizialmente ragazza giovane e successivamente madre e donna avvolta nel dolore di una malattia inaspettata. E l’altro che per la prima volta riesce ad allontanarsi dalla sindrome di Scialla (Scialla! (Stai sereno); 2011), compiendo quel primo passo verso una maturazione artistica che già all’epoca andava ben al di la dell’essere una semplice promessa. Per finire con Carolina Crescentini nella parte di Silvia. Ai tre si aggiunge il razzista Antonio; interpretato da Francesco Arca, successivamente diventato famoso quale attore di fiction, e che qui caratterizza il proprio personaggio purtroppo in maniera decisamente poco espressiva.
Mano a mano che i ricordi si faranno sempre più chiari, nitidi precisi il colpo di scena di una malattia inaspettata farà improvvisamente riavvicinare un gruppo di persone che invece si stava forse per allontanare definitivamente. Dal possibile naufragio del matrimonio quasi fallito fra Elena e Antonio; nascerà invece un colpo di coda che da sempre è, ed è ben rappresentato, dal cinema di Özpetek, fatto di legami e relazioni. Di una fotografia estremamente curata, esattamente come ogni minimo particolare sentimentale e per questo capace di far invidia sia a una qualunque seduta psicoanalitica, sia a qualunque pellicola straniera, preferibilmente di matrice USA, che si spacci come soluzione a buona parte dei problemi affettivo esistenziali.
Da vedere perché il regista di origine Turca, come sempre, riesce da una trama ingarbugliata a ricavare uno spaccato credibile della vita di un manipolo di sconosciuti grazie ai quali non solo riesce a narrare una storia avvincente, e già questo non sarebbe poco, ma spingendo anche delle riflessioni nello spettatore.