Chi fosse Chris “The legend” Kyle ce lo ha spiegato dieci anni or sono e con dovizia di particolari Clint Eastwood, che proprio oggi, alla soglia dei 94 anni, sta portando a termine probabilmente la sua ultima fatica dietro la macchina da presa.
Nel corso della pellicola, la terza riguardante il tema della guerra: dopo Flags of our Fathers e Letters From Iwo Jima (entrambi del 2006) Eastwood offre a Bradley Cooper, divenuto per l’occasione più muscoloso del solito, l’opportunità per misurarsi con la vita e la mente di un ragazzo imbevutosi di principi quali la difesa della bandiera a stelle e strisce e la protezione degli oppressi fino al punto di partire quasi senza esitazione per il fronte Iracheno.
Pronto a spostarsi dai rodei Texani all’inferno del medio oriente, per esportare l’idea di pace che da sempre contraddistingue la politica stars & stripes. Soffrendo per ogni ritorno in patria perché, nonostante una moglie che l’aspetta, Chris intravede nell’abbandono del fronte il rischio di tornarvi con qualche amico in meno, congedato o morto che fosse.
Eastwood alla fine non giustifica, ma offre allo spettatore tutti gli elementi per poter giudicare da sé, limitandosi a descrivere la parabola di un uomo che apparentemente non sembra avere cedimenti ma che può intravedere nel viso stranito del fratello Jeff, anch’egli nell’esercito, ma molto meno sicuro di sé, il dubbio di una nazione piena di convinzioni belliche in difesa di un ideale che può anche andare a discapito della propria salute mentale o fisica. In tal senso diventa emblematica la misurazione della pressione del protagonista che in presenza della ginecologa che sta per comunicargli il sesso del figlio si trova a combattere con un battito cardiaco che sfiora le 200 pulsazioni al minuto.
Cooper aiuta Eastwood sparando con precisione chirurgica a nemici che come lui hanno il medesimo desiderio di difendere la propria nazione e le persone che amano. Fingendosi allegro a ogni ritorno, ma con il perenne dubbio che la tensione che cova possa deflagrare in qualche cosa di ben peggio. Sienna Miller, è altrettanto capace di restituirci la moglie di Kyle (Taya) come una donna desiderosa di riabbracciare un marito che si trova perennemente con la mente in mezzo all’inferno di Falluja. La Miller riesce infatti a disegnare in modo credibile il dramma di chi resta e vive con l’ansia di perdere un proprio congiunto per un conflitto che solo apparentemente è combattuto per la difesa della propria nazione.
Una pellicola di guerra fin troppo ben girata e che infatti dedica troppo tempo alle operazioni belliche e molto poco al difficoltoso rientro alla normalità di Kyle, dipinto come un eroe quasi senza macchia né paura. Coerente con i propri principi, ma che comunque per amore della propria famiglia preferì tornare a condurre una vita da civile, congedandosi con il massimo degli onori.
Da vedere come tutte le pellicole di un regista che più di tanti altri ha saputo fotografare la propria nazione: piena di contraddizioni, dubbi, incertezze. Sapendo che anche se la carriera di Eastwood sta ormai volgendo al termine non dovremo assolutamente piangere perché è terminata ma sorridere per quello che ha saputo offrirci.
American Sniper, di Clint Eastwood