Danton, recensione del film diretto da Andrzej Wajda.
Francia, all’indomani dell’assalto alla Bastiglia. Danton rientra Parigi da Arcis-Sub-Aube, sua città natale. Siamo in pieno terrore rivoluzionario, cui Robespierre è contrario e i giacobini non esitano a farvi ricorso contro gli oppositori. Le piazze fervono di entusiasmo, si caricano di passione, i citoyen spesso ondeggiano tra due personaggi-simbolo della Rivoluzione di Luglio: Robespierre e Danton. Il primo, incarnazione della razionalità politica, del primato della ragion di Stato imperniata su una concezione machiavellica del potere, oggi diremmo Governista; il secondo più movimentista, carnale, ai limiti dello spontaneismo, spesso dedito ai piaceri immediati e refrattario al mero calcolo, tutt’uno con gli umori della folla.
Due modi diversi di concepire la gestione del potere, dotati di un enorme carisma si fronteggiano in nome di una differente interpretazione nell’attuazione dei principi rivoluzionari. Alcune scene meritano l’Oscar: quella agli inizi dove un bambino tenta di recitare a memoria la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, schiaffeggiato sulle mani da una governante al minimo accenno di titubanza; la lunga sequenza del pranzo tra Robespierre e Danton, dove si scontrano orientamenti caratteriali opposti.
Danton ci restituisce, attualizzandolo, un capitolo fondamentale di storia delle idee, restituendoci uno scenario storico e umano su cui riflettere
O la lunga, commovente difesa d’ufficio di Danton, oramai condannato, difensore di sé stesso e di tutti i sognatori rivoluzionari. L’incontro conviviale, ideato da Danton per cercare una mediazione, culminerà in un fiasco e sarà il segnale di una sconfitta dell’ala critica della Rivoluzione. Gerard Depardieu è Danton e ne da un ritratto vivo, viscerale, mercuriale, perfetto.
D’altronde lo ricordiamo, tra i molti, in quel Novecento nei panni del sanguigno Olmo, paisano comunista in terra d’Emilia. A Wojciech Pszoniak è affidato il ruolo di Robespierre, impeccabile, quasi anaffettivo. Quasi, perché è semplicemente un sentimentale represso dal proprio ruolo(tenterà di salvare a piu’ riprese Danton, in nome di un’antica amicizia). La colonna sonora è di Jean Prodromidèsdi, compositore francese, che accompagna il dipanarsi della trama con sonorità azzeccate, veri e propri linguaggi “semantici”.
Tratto dal dramma storico L’affare Danton della polacca Stanisława Przybyszewska e trasposto sullo schermo da Andrzej Wajda (L’uomo di marmo,1977, L’uomo di ferro, 1981 tra la sua ricca produzione) con riferimenti al colpo di Stato di Jaruzelski, Danton ci restituisce, attualizzandolo, un capitolo fondamentale di storia delle idee, restituendoci uno scenario storico e umano su cui riflettere. Qui, nello specifico come lo stesso Danton ebbe a dire, della rivoluzione come Saturno che divora spietatamente i suoi figli. Ora a oltre duecento anni di distanza, nella stanca riproposizione di una politica al palo, lontana figlia di quell’illuminismo a cui le moderne democrazie dovrebbero ispirarsi e che fu disatteso in gran parte da tutte le rivoluzioni.
Danton (Id.) Francia 1982 Regia di: Andrzej Wajda. Genere: Drammatico. Durata: 136′. Cast: Gérard Depardieu, Angela Winkler, Wojciech Pszoniak, Jacques Villeret, Patrice Chéreau. Montaggio: Halina Prugar-Ketling. Musiche: Marc Streitenfeld. Sceneggiatura: Jean-Claude Carrière, Jacek Gasiorowski.
Danton, recensione del film diretto da Andrzej Wajda.
Valutazione finale: 8/10