Harrison Bergeron, recensione del libro di Kurt Vonnegut.
L’incubo o sogno di una società (im)perfettamente livellata, regolata da dispositivi normativi e da leggi ferree ha da sempre popolato le notti degli scrittori dalla fantasia più fervida. Nel secondo millennio, da Huxley via Orwell si è giunti alle visioni lisergiche di un Dick anarco-individualista.
Campanella, Moore e Platone interpretando lo sforzo dell’umanità, hanno immaginato comunità armoniose, tranquille. Skinner in Walden 2 ricorse a un sistema sanzionatorio. Ciò per estrarre il meglio dalle persone immerse in una comunità totale, al di là di apparati polizieschi.
Una potente metafora sui condizionamenti socio-politici nella società.
Utopia e distopia sono andati a braccetto per secoli, infiammando spesso d’irrazionale le coscienze più inquiete del genere umano. Kurt Vonnegut ci ha regalato nel 1961 un interessante racconto breve, Harrison Bergeron. Dal quale è stato tratto un film dal titolo omonimo e un cortometraggio, 2081. Il racconto prefigura una società ferocemente ugualitaria. Società dove gli individui sono costretti, in nome di una fasulla armonia sociale, a ridurre le proprie differenze per non suscitare invidia sociale. Invidia tanto in voga ai giorni nostri e che è, in parte, bagaglio perverso di milioni di concittadini.
Così ognuno deve fare i conti con la propria intelligenza.Indossando speciali cuffie disturbanti per alterare il corso dei pensieri, prestanza (zavorre sul corpo per impedire di mostrare fisicità e atletismo). Abilità di vario genere, sempre compresse dalla fastidiosa presenza di pesi ingombranti.
Tutta questa gigantesca messa in scena viene tenuta sotto controllo dall’ Handicapper General, una sorta di controllore super partes che vigila sul corretto rispetto delle norme. Chi deroga dalla legge è espulso dalla societa’ e incarcerato a vita. Ovvio che qualcuno non ci stia e in questo caso è Harrison Bergeron. Atleta dotatissimo anche in materia grigia che evade dal carcere dando vita ad una nobilissima lotta solitaria che solo i posteri forse, potranno raccogliere.
Potente metafora sui condizionamenti socio-politici, qui materializzati negli impedimenti al pensiero e all’azione, 2081 lascia ben pochi spiragli all’ottimismo della volontà. Alla capacità di auto-organizzazione delle moltitudini disaggregate, divise e impaurite ma malgrado ciò in grado di tramutarsi, per un’inafferrabile capriccio della storia in lenta sedimentazione collettiva. In leva inesorabile per il cambiamento e la liberazione dell’umanità da ogni catena sovrastrutturale. E da ogni ideologia dominante.