Il primo dei bugiardi, recensione del film diretto da Ricky Gervais e Matthew Robinson.
Se immaginiamo di trovarci in un mondo dove la comunicazione tra le persone è trasparente e non esistono bugie, in quanto mentire è un’attività sconosciuta, allora quel mondo non è il nostro mondo. Ognuno dice quel che pensa, nessuna censura, nessun limite, niente di niente. Immaginiamo anche di essere catapultati in quel mondo dopo aver viaggiato nel tempo provenienti dall’Antica Roma, ma potrebbe essere anche Atene, Persepoli, Babilonia…. o da una galassia ai confini dell’universo.
La prima reazione sarebbe di stupore, di incredulità. Faremmo scorta di spilloni per risvegliarci ma li spunteremmo tutti… Qualcosa di simile deve essere balenato nella mente di Ricky Gervais e Matthew Robinson quando hanno deciso di scrivere e dirigere una pellicola così semplice e insolita. Dai toni surreali, ma mai gratuita e superficiale, e deliziosamente leggera. Mark Bellison è uno sceneggiatore di docu-film, l’ultimo dei quali sul Medioevo è passato inosservato alle alte sfere della società di produzione che gli stanno preparando il benservito. Quand’ecco, tutto a un tratto l’intuizione geniale…
Mark in un battibaleno riscoprirà l’altro lato delle cose, the dark side. E da lì intraprenderà un lungo viaggio sentimentale alla ricerca del sé più profondo che alberga nelle sue più profonde viscere. Commedia soft-impegnata sui condizionamenti di massa ad opera dei media, qui magistralmente simboleggiati da Gervais nei panni del poco avvenente Matt. Riuscendo a discostarsi da certa patinata comicità tutta protesa alla risata facile. Incuriosisce se non altro per la levità con cui affronta una moltitudine affetta da una sorta di rimozione gigantesca dell’inconscio collettivo. Qui normativizzato in nome di un obliquo controllo sociale che nulla concede alle mille strategie del quotidiano, inclusa la bugia.
Commedia easy ma non troppo, Il primo dei bugiardi gioca sulla eterna commedia-scommessa della vita relazionale…
Il parallelo corre con un altro film, diverso per struttura narrativa e per finalità, la Città magica pellicola del 1947. Interpretato da uno stralunato James Stewart nei panni di un ricercatore caduto in disgrazia che crede di scoprire la città ideale per le statistiche governative. Grandview appare agli occhi di Rip un concentrato della “medietà” americana. Una sorta di “miracolo matematico” che condensa vizi e virtù del paese a stelle e strisce.
Il risveglio sarà brusco e Rip si accorgerà a proprie spese che non esiste neutralità alcuna, neppure per innocenti numeri raccolti con dovizia e cura di particolari. E’ la città-monstrum speculare alla città dei non bugiardi, monodirezionale, prevedibile nella sua fotogenica emblematicità. Nel caso del nostro aspirante bugiardo, anche lui in crisi lavorativa e dulcis in fundo, affettiva, l’unicità si trasforma in risorsa, la non omologazione apre nuovi spiragli di felicità scanzonata al Nostro.
Commedia easy ma non troppo, Il primo dei bugiardi gioca sulla eterna commedia-scommessa della vita relazionale: maschera o non maschera, apparire o essere, spontaneità vs mediazione? Risposta non pervenuta. Se il linguaggio è comunicazione ed è impossibile non comunicare, Scuola di Palo Alto docet, allora sarà sempre possibile aggiungere frammenti di sé nelle conversazioni, nelle interazioni faccia a faccia, nei rituali che costellano e formano l’attività umana. E ci sarà sempre spazio, anche in situazioni estreme per le relazioni, armoniose e conflittuali, proficue e negative ma sempre nel segno dell’ umanità più autentica.
Il primo dei bugiardi (The Invention of Lying.) USA 2009 Regia di: Ricky Gervais e Matthew Robinson. Genere: Commedia Durata: 99′. Cast: Rob Lowe, Jennifer Garner, Fionnula Flanagan, Louis C.K., John Hodgman, Martin Starr, Ricky Gervais. Fotografia: Tim Suhrstedt. Musiche: Tim Atack. Sceneggiatura: Ricky Gervais, Matthew Robinson.