L’odio, di Mathieu Kassovitz

a cura di Ciro Andreotti

Alla periferia di Parigi vivono l’immigrato arabo Saïd. Vinz, ragazzo di origine ebraica, e Hubert, un pugile originario dell’Africa. I tre, come tutti gli abitanti del loro quartiere, sono avvolti da un clima di odio e disperazione a causa dell’aggressione da parte della polizia ad Abdel, un loro amico che ora versa in fin di vita. I tre amici trascorrono una giornata come molte altre, girovagando per le strade di un quartiere reduce dagli scontri della sera precedente. Scontri che han fatto trovare a Vinz una pistola smarrita da un poliziotto.

È la storia di una società che precipita. E che mentre sta precipitando si ripete, per farsi coraggio:

“Fino a qui tutto bene.”

Fino a qui tutto bene.”

“Fino a qui tutto bene. ”

Nel 1995 il secondo lungometraggio firmato dall’allora 27enne Mathieu Kassovitz arrivò al centro dello stomaco, non solo francese ma di tutto il mondo, come un pugno scoccato con foga e precisione. Il regista parigino traendo spunto da un fatto di cronaca che realmente sconfinò in tragedia, con la morte di un ragazzo (Makome M’Bowole) assassinato per errore dalle forze dell’ordine, decise di rimodellare la notizia a uso di una narrazione girata prima a colori e poi trasformata in bianco e nero, per rendere ancor più livida l’esistenza e il destino dei protagonisti, decidendo di ghettizzarli da tutto e tutti all’interno di uno dei numerosi quartieri dormitorio della capitale francese, riuscendo nel suo intento grazie all’aiuto di caratteristi che già lo avevano seguito in Meticcio (Métisse; 1993) il suo primo lungometraggio, incentrato sempre sul mondo delle minoranze, e fra i quali è impossibile non notare un giovane Vincent Cassel nel ruolo di Vinz, rissoso al punto di litigare anche con la propria immagine.

Il film grazie a questi accorgimenti seppe con grande rabbia e precisione narrare cosa significasse, e cosa significhi anche oggi, vivere nelle banlieue degradate e abbandonate dalle istituzioni. Un odio divenuto prima di tutto un grido contro le forze dell’ordine, viste come servi del potere e autori di un possibile omicidio, e solo successivamente da manifestare nei confronti del destino dei tre protagonisti che vedono la vita di Parigi come un’entità a sé stante, irraggiungibile e aliena, a causa anche di una distanza da dover coprire in molte ore per raggiungere i luoghi più centrali della capitale, abitati da persone che come dice Saïd:

Sono molto gentili e ben educate, non come quelle del nostro quartiere”.

Si respira nel complesso aria di grande cinema impreziosito da numerose citazioni delle pellicole che hanno saputo influenzare il regista: da Taxi Driver (id.; 1976), con Cassel di fronte allo specchio del bagno a imitare Robert De Niro, fino a Fuori Orario (After Hours; 1985) pellicola sempre diretta da Martin Scorse, il cui riferimento è l’impossibilità, per i tre protagonisti, di riuscire a tornare a casa.

Film di denuncia nuovamente disponibile in sala in questi giorni, grazie a un lavoro di restauro in 4K. Imperdibile e pluripremiato da critica e pubblico e che all’epoca raccolse numerose critiche per la violenza con la quale è descritta la polizia francese, ma che ha anche il pregio di non voler giustificare nemmeno gli abitanti delle banlieue.

Valutazione Finale: 8 / 10

L’odio (La Haine) Francia; 1995 Regia di: Mathieu Kassovitz Genere: Drammatico Durata: 95′. Cast: Vincent Cassel, Hubert Koundé, Saïd Taghmaoui, Abdel Ahmed Ghili, Mathieu Kassovitz, Vincent Lindon. Musiche: Vincent Tulli Scenografia: Giuseppe Ponturo Fotografia: Pierre Aïm Montaggio: Mathieu Kassovitz, Scott Stevenson Soggetto: Mathieu Kassovitz Sceneggiatura: Mathieu Kassovitz Produzione: StudioCanal, Les Productions Lazennec, La Sept Cinéma, Kasso Inc. Productions Distribuzione: Mikado, Mondadori, RaroVideo

L’odio, di Mathieu Kassovitz