Pellicola che definire bellica sarebbe riduttivo grazie al tocco narrativo che permette di osservare le vicende di una delle pagine più sanguinose dell’ultimo conflitto, vista tramite lo sguardo della piccola Martina; l’esordiente Greta Zuccheri Montanari che all’epoca delle riprese aveva appena 10 anni.
Il regista Bolognese Giorgio Diritti, recentemente rivisto a dirigere Elio Germano nei panni di Antonio Ligabue in Volevo nascondermi (id.; 2020), nel 2009 riuscì a confezionare un film che non desiderava assolutamente gettare ombre sulle vicende verificatesi a Monte Sole, ma narrarle da un differente punto di vista. Ovvero quello di chi, da quell’eccidio sanguinoso, poteva e doveva trovare la forza per rialzarsi e andare avanti.
Il microcosmo creato vicino Monte San Pietro, poco distante dai luoghi della strage, risulta essere un prefetto mix di tradizioni e riferimenti storici, dove il trascorrere del tempo è scandito dal variare delle stagioni e nel quale nessuno degli attori presenti sa svettare rispetto a una vicenda non inventata ma riadattata per permettere a Martina e alla sua famiglia di rappresentare un tramite per narrare un evento storico di così grande brutalità nel quale tutti gli interpreti, da Maya Sansa sino ad Alba Rohrwacher, inaspettatamente abili con il dialetto del luogo, riescono a incastrarsi alla perfezione in un meccanismo ricalcato fedelmente sulle reali vicende dell’Ottobre del’44.
Diritti, alla sua seconda prova da regista, riesce quindi a vergare un inno alla vita che non vuole trovare colpevoli o eroi, ma che desidera principalmente essere la narrazione delle genti di quella zona dell’Appennino tanto vicina alla sua Bologna quanto distante in termini anagrafici. E dove solamente un orecchio abituato al dialetto di questi luoghi è in grado di dribblare l’uso dei sottotitoli.