“Possession – L’appartamento del diavolo“, recensione film diretto da Albert Pintó.
Nel 1976, nel periodo della transizione spagnola, Manolo e Candela Olmedo si trasferiscono assieme ai loro tre figli e al nonno in un appartamento nel centro di Madrid, nel quartiere Malasaña al civico 32 del Calle de Manuela Malasaña. L’appartamento è grande ed economico e sia Manolo che Candela riescono a trovare subito lavoro nella nuova città. Tuttavia, fin dal loro arrivo, all’interno della casa si verificano strani eventi, culminati con l’improvvisa scomparsa del piccolo Rafael, il loro figlio minore. Gli Olmedo capiranno che la casa nasconde una presenza inquietante che inizierà a tormentarli…
I film sulle case infestate sono ormai più che inflazionati. Mera strategia di mercato per monetizzare il genere horror e spremere fino alla fine questo filone degno di tanti titoli di culto. Il genere si trascina, è vero, ma proprio dalla Spagna arriva “Possession – L’appartamento del diavolo” (Malasaña 32), di Albert Pintó. Che pur giocando sugli stereotipi del genere haunted house ha saputo giocare con i topoi e con i cliché tipici degli horror di qualità. Riuscendo ad apportare un’ondata di freschezza nella filmografia horror tradizionale.
“Possession – L’appartamento del diavolo“, al classico mito della casa infestata da un’anima in pena che assedia la famiglia da poco trasferitasi, innesta con successo tematiche molto europee. Nello specifico identificative della cultura spagnola, o se vogliamo dei paesi cattolici latini, Italia compresa.
Una famiglia alle prese con una casa infestata in un film conservatore e di solido intrattenimento.
Non a caso siamo nel 1976, Francisco Franco è morto da un anno, l’epoca è di transizione ma nonostante sopravvivono i precetti cattolici ultraconservatori. Precetti che hanno fatto la loro parte nella base ideologica del franchismo. La famiglia in questione, seppur con figli, non è una famiglia benedetta dal matrimonio perché frutto di un amore proibito. Un amore che ha costretto padre e madre a trasferirsi dal piccolo paese sperduto alla vivace Madrid di fine anni settanta. Inoltre, i bambini e gli adolescenti, sono ancora l’oggetto del desiderio della mostruosità. Un’innocenza che la Guerra Civile prima e la dittatura dopo hanno corrotto e che nell’immaginario fantastico spagnolo è sempre in pericolo.
L’eredità del franchismo e dell’asfissiante religione cattolica imperante, sono il motore narrativo del film, ma c’è un elemento in più. Totalmente destabilizzante, nuovo, inaspettato, che impreziosisce la tematizzazione della pellicola. Dopotutto, l’identità resta uno dei temi più importanti del cinema spagnolo, ma anche di molto cinema horror, pertanto il loro utilizzo non può che essere già un’intenzione apprezzabile.
Soprattutto se il film vince anche la sfida estetica. Infatti, non solo il corpo iper esteso di Javier Botet dona una fisicità orrorifica alle riprese che il digitale può solo sognare, ma plasmando con luci, ombre e filtri un arredamento labirintico tanto come l’universo identitario di cui la storia tratta, dà una forma estetica al film che è il corrispettivo di un contenuto viscerale, intimo, fetale.
E poi, dettaglio non trascurabile, appare inaspettatamente Concha Velasco e tutto si impreziosisce di nuovo…
Possession – L’appartamento del diavolo (Malasaña 32.) Spagna 2020 Regia di: Albert Pintó. Genere: Drammatico, Horror Durata: 104′ Cast: Begoña Vargas, Sergio Castellanos, José Luis de Madariaga, Concha Velasco, María Ballesteros, Javier Botet. Sceneggiatura: Ramón Campos, Gema R. Neira, Salvador S. Molina, David Orea. Fotografia: Daniel Sosa. Musiche: Lucas Peire, Frank Montasell.
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