Scopriamo insieme la recensione della serie TV “L’alligatore” disponibile su Rai Play.
In un nord est laborioso che si specchia nella laguna, nel delta del Po, nelle giornate nebbiose, si muove Marco Buratti soprannominato l’Alligatore. Ex – vocalist del gruppo blues The Old Red Alligators. Professione che ha svolto in un’altra vita prima di prendere la decisione di finire in galera per sette anni e per coprire un amico fraterno.
Il duo di registi Daniele Vicari ed Emanuele Scaringi riesce a confezionare l’ennesima serie televisiva thriller nata dalla penna di un autore di casa nostra. In un continuo saccheggio letterario che dal 1999 ha fatto riscoprire la letteratura in giallo al pubblico del piccolo schermo.
Inizialmente con il Commissario Montalbano e a seguire con la trasposizione continua e più o meno fedele agli originali letterari generatasi nel corso degli ultimi venti anni.
Il Marco Buratti portato sul piccolo schermo dal veronese Matteo Martari, celebrato in tv grazie al ruolo di Francesco De’ Pazzi nella serie I Medici di RAI 2, s’infila nella rivisitazione letteraria ma in tal caso personalizzata.
Perché pur rispettando le trame dei romanzi di Massimo Carlotto, presente anche nel ruolo di co – sceneggiatore, l’Alligatore televisivo si discosta da quello letterario. Per una fisicità che pur calandosi alla perfezione nel nord – est fatto di loschi traffici che giungono fin oltre confine, non riesce a richiamare la cupezza delle trame narrate dall’autore Padovano.
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Al netto di questo appunto il personaggio impersonato da Martari, esattamente come quello cartaceo, dimostra di avere una morale esaltata dalla sua scontrosità. Dalla sua voglia di non apparire ma di fare sempre la cosa giusta, dal desiderio di essere sempre dalla parte dei più deboli. E poco importa se a farne le spese possa essere una reputazione ormai completamente compromessa da una scelta che fece per un vecchio amico.
Ad assistere Buratti nelle sue indagini un manipolo di comprimari che esattamente come L’Alligatore ci si aspetterebbe differenti. Ma che nonostante questo non sono di certo meno efficaci. Attori come Thomas Trabacchi, nel ruolo di un vecchio criminale milanese della ligéra, come si direbbe nel gergo della mala meneghina, con il quale L’Alligatore ha un’amicizia fraterna e una convergenza di vedute.
Esattamente come con Max La Memoria, l’amico di sempre e web giornalista portato in scena da Gianluca Gobbi. Anch’egli attore di teatro diventato celebre in TV grazie al ruolo di Paolo Villaggio nel serial Fabrizio De Andrè – Principe Libero. Un plauso a Trabacchi che ha saputo trovare nel piccolo schermo la propria Macondo. Dopo anni a calpestare le assi del teatro e che solo ora ha potuto sancirsi come protagonista prima della serie tv Netflix, Baby.
A questi due s’aggiungono altri attori del calibro di Valeria Solarino e Eleonora Giovanardi.
Fausto Maria Sciarappa, politico e cattivo di stampo quasi fumettistico e Davide Gherpelli sicario dal quale prendere rapidamente le distanze.
L’Alligatore TV è tratto da un personaggio che su carta sa funzionare e che ha saputo mantenere incollato alle proprie pagine anche i lettori più scettici. I medesimi che una volta assimilata l’inevitabile differenza fra i due media sapranno apprezzare anche il Veneto portato in TV nel corso del serial RAI.