a cura di Ciro Andreotti
Il ventunenne Daniel Balint è un Naziskin della periferia di New York che si avvicina al movimento neofascista dei coniugi Moebius, che in lui non vedono un semplice picchiatore ma idee e doti riflessive capaci di creare proselitismo. Al tempo stesso Daniel cela un segreto del quale nessuno è a conoscenza: Il ragazzo ha origini ebraiche con le quali da sempre non riesce a convivere, al punto di odiare la propria gente.
Primo ruolo da protagonista per un Ryan Gosling poco più che ventenne
“Conoscere quel che si odia è il solo modo per poterlo combattere. Per questo Eichmann era un grande studioso di cultura Ebraica”
(Danny Balint)
A soli tre anni da Cameron Alexander, la spiaggia di Venice, i pettorali con svastica tatuata di Ed “Derek Vinyard” Norton, e dall’odio che lo aveva divorato fin dall’adolescenza, il regista semi sconosciuto Henry Bean, due sole le pellicole all’attivo a fronte di diversi procedimenti giudiziari per un carattere decisamente ribelle, ci propose un secondo pugno in faccia, in tal caso indipendente, e vincitore del Gran premio della Giuria al Sundance Film del 2001 e liberamente ispirato alla vita del neonazista Dan Burros, storicamente conosciuto come lo stereotipo di Ebreo che odia sé stesso.
Una pellicola passata quasi inosservata in sala, ma non agli occhi della critica, che oltre a porre l’accento su un tema controverso come l’odio per le proprie origini, ha anche il pregio di aver offerto a Ryan Gosling un ruolo per il quale ad appena 21 anni avrebbe potuto pagare di tasca propria per poterlo impersonare. E poco conta se il volto imberbe del canadese, all’epoca poco più che adolescente, pareva essere ancora quello del presentatore del Mickey Mouse Club, grazie al quale aveva mosso i primi passi nel mondo della TV.
Perché nel caratterizzare il giovane e rissoso Balint, Gosling seppe portare in scena tutta l’inadeguatezza per un animo divorato da sensi di colpa. Facendosi travolgere da un ruolo controverso, totalizzante, impersonato con il fare di un attore più esperto e maturo che non fa affidamento, esattamente come il protagonista, solo sulla forza fisica ma anche affidandosi a cambi d’espressione, di convinzione e di registro che lo porteranno a un evoluzione del character del tutto inattesa e al servizio di una pellicola che lo stesso Bean riuscì a portare a termine sovvertendo l’ordine e le certezze di chi la osserva. Riuscendo a dimostrare quanto anche il male possa essere particolarmente astuto nell’annidarsi nella mente delle persone, al punto che tutti i dialoghi altro non sono che logica applicata alla filosofia antisemita.
Cast di supporto costituito da Summer Phoenix, nel ruolo di una musa tentatrice, Billy Zane in quello di un teorico del fascismo e Theresa Russell, in quello di una facoltosa finanziatrice del nascente partito fascista a stelle e strisce.
Se vi è piaciuto American History X (id.; 1998) consigliamo di non perdere quest’opera unica nel suo genere. Perché se la pellicola di Tony Kaye aveva saputo scuotervi, per la caduta e la successiva redenzione del protagonista. The Believer rappresenta invece l’ingresso nel mondo di chi non riesce a darsi pace nemmeno a fronte della propria parte più razionale e profonda.
The Believer (id.) USA, 2001. Regia di: Henry Bean. Genere: Drammatico Durata: 100′. Cast: Ryan Gosling, Billy Zane, Theresa Russell, Summer Phoenix, Natasha Leggero, Glenn Fitzgerald Fotografia: Jim Denault Musiche: Joel Diamond Soggetto: Henry Bean, Mark Jacobson Sceneggiatura: Henry Bean Produzione: Fuller Films, Seven Arts Pictures Distribuzione: Eagle Pictures